venerdì 14 dicembre 2018

Volpi, leoni e qualche confronto


«In verità, ci sono due maniere di contendere: con la ragione e con la forza; e poiché la ragione è propria dell'uomo e la forza è propria delle bestie, bisogna ricorrere alla seconda solo quando non ci si può avvalere della prima». 
Se siamo distratti, o di abbiamo poca memoria, potremmo giurare di aver appena letto un passo del XXVIII capitolo del Principe, quello che abbiamo definito il più scandaloso, provocatorio, traumatico dell'opera.
Non di Machiavelli tuttavia si tratta, ma del De officiis, un trattato sulla morale (la traduzione del titolo potrebbe essere "Sui doveri dell'uomo", cioè sul "dover essere", su ciò che è giusto fare) composto da Marco Tullio Cicerone, grande avvocato, politico, filosofo e scrittore, nel 44 a.C. 
Un modello, com'è tipico del Rinascimento, compreso, amato e fatto proprio da Machiavelli in quel suo dialogo ininterrotto con i classici, reso anche più intenso negli anni dell'Albergaccio («non sento per 4 hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottiscie la morte: tucto mi trasferisco in loro», scriveva a Vettori il 10 dicembre del 1513 - e stavolta ho lasciato inalterata la grafia cinquecentesca delle parole).

Ciò non deve stupirci, perchè il De officiis, scritto in tre libri nell'anno dell'assassinio di Cesare, è un'opera fortemente intrisa di politica e dunque estremamente affine agli interessi del Machiavelli, interessante per la prospettiva repubblicana del suo autore, fortemente anticesariana e, in sostanza, anti-tirannide. Naturale che entri tra i precedenti del Principe, e che esistano tra i testi somiglianze, qui davvero eclatanti.
Machiavelli quindi accoglie e rielabora la lezione di Cicerone (confrontate la traduzione del De officiis con le parole di Machiavelli all'inizio del XVIII capitolo del Principe). Tuttavia - sarei tantata di scrivere "nondimanco" - se procediamo nella lettura di Cicerone ci rendiamo conto che qualcosa non torna:
«In due modi poi si può recare offesa: cioè con la forza/violenza (latino "vi") o con la frode/inganno (latino "fraude"); con la frode che è propria dell'astuta volpe e con la violenza che è propria del leone; indegnissime l'una e l'altra dell'uomo, ma la frode è assai più odiosa.  Fra tutte le specie d'ingiustizia, però, la più detestabile è quella di coloro che, quando più ingannano, più cercano di apparir galantuomini».
Se dobbiamo scegliere, dice Cicerone, meglio essere costretti a fare la parte dei leoni, perchè le volpi (ingannevoli, astute, subdole) sono «detestabili». Per Machiavelli invece, come sappiamo, «coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendono», cioè non si rendono conto del potere che in politica gioca l'astuzia, e più facilmente "ruinano".
Il nostro autore, sempre a suo agio «nelle antique corti degli antiqui huomini», riesce anche qui a citare quasi letteralmente Cicerone, vero autore culto del Rinascimento italiano, affermando però in modo altrettanto forte e perentorio l'esatto contrario di quanto questi sosteneva.
Sono passati più di 1500 anni di storia, tra Cicerone e Machiavelli: pur ripettando un principio di emulazione tipicamente Rinascimentale, Machiavelli attualizza la lezione del grande modello alla luce della modernità, della sua conoscenza di un "futuro" che Cicerone non poteva conoscere (e che futuro! l'impero romano e l'avvento del cristianesimo, la rovina e la trasformazione di quest'impero, l'ascesa dell'islam, la costituzione delle realtà politiche europee in perenne evoluzione e la trasformazione delle forme di potere e di diritto).

Tuttavia, se il De officiis è l'opera alla quale più direttamente Machiavelli pensa quando scrive il XVIII capitolo del suo «opuscolo», l'immagine bestiale (e la parola a buon diritto ci riporta alla stessa radice di "bestiario", perchè in entrambi i contesti si fa uso allegorico dell'animale) ci riconnette direttamente con il Medioevo, e con Dante in particolare.
Gustave Doré, Inferno, XII
In primo luogo infatti, già la figura ibrida di Chirone ci riporta al suo Inferno, perchè il centauro è, insieme ad altri, il guadiano - non a caso - dei principi-tiranni immersi nel Flegetonte (XII, 104-105).
In secondo luogo, più avanti e più giù nell'imbuto infernale, laddove vengono puniti i frudolenti - un canto dopo, esattamente, la memorabile scena di Ulisse - facendo parlare di sè Guido da Montefeltro, Dante scrive:

mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe
che la madre mi diè, l'opere mie
non furon leonine, ma di volpe.
Li accorgimenti e le coperte vie
io seppi tutte, e sì menai lor arte,
ch'al fine della terra il suono uscie. 
(If, XVII, 73-78)
La volpe è fraudolenta, insomma, e per questo colui che allegoricamente la incarna deve essere punito in eterno, perchè ogni astuzia e sotterfugio («li accorgimenti e le coperte vie») è una colpa grave che non può sfuggire all'intelligenza di Dio («al fine della terra il suono uscie», ovvero "infine la fama delle mie frodi uscì dalla terra e arrivò in cielo": non si può essere simulatori o dissimulatori in eterno, perchè Dio, che non è nostro suddito nè alleato, ci scopre comunque).

Anche nei confronti di Dante, come è accaduto per Cicerone, esiste in Machiavelli una precisa volontà di rovesciamento, «la volontà di contrapporre a quello del poeta un concetto diverso; che rinvia naturalmente a un diverso fondamento» (cito un saggio di Gennaro Sasso, Machiavelli egli antichi. E altri saggi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1997). Quale sia questo diverso "fondamento" lascio a voi immaginarlo, pensando alla diversa, diversissima concezione del mondo e dell'uomo che sta dietro i due grandi autori e alla diversa, diversissima funzione che orienta questi loro capolavori.



Altro tassello di questo insolito post-lezione (nella duplice accezione che possiamo dare a "post"!), è il confronto tra la parola di Machiavelli e i suoi più diretti e vicini precedenti rinascimentali. Non che questi parlino di bestie, nè volpi nè leoni, ma perchè è interessante per noi osservare "dal vero" l'enorme distanza metodologica che intercorre tra il segretario fiorentino e due autori illustri di Specula principis, Giovanni Pontano e il più illustre Erasmo da Rotterdam.
Entrambi gli autori, in due trattati scritti in latino, affrontano il tema dei "patti da rispettare": il principio "pacta sunt servanda", risalente al diritto romano, è infatti fondamentale in qualsiasi sistema giuridico pubblico e privato, nazionale e internazionale.
Il primo (Pontano) ribadisce la necessità morale (ecco qui!) di una sincerità e lealtà assoluta. Il secondo (Erasmo) si spinge addiruttura a decretare che tra principi «cristiani» - come dire, tra galantuomini - non è neppure necessario scriverli, i patti, perchè il loro rispetto è per natura assoluto anche sulla parola, sulla promessa, sul virtuale.

Giovanni Pontano, nel De Principe, che è del 1465, quindi precede di cinquant'anni l'opera di Machiavelli, che l'ha certamente letta e immagino assai criticata in cuor suo:
«Vanno infatti considerate molte altre cose, soprattutto che nulla vi è di più vergognoso del non mantenere la parola: che è un impegno tanto importante che, anche quando la parola è stata data a un nemico, tuttavia è necessario rispettarla.
Ed essendo la lealtà (fides) come dicono gli antichi, costanza e sincerità nelle parole e nei patti, il principe non deve anteporre nulla alla sincerità. […] vivi in modo da essere sempre coerente con te stesso, rispettando, in tutte le tue parole e azioni, la fedeltà e la costanza. Cerca di primeggiare non solo per il tuo potere, ma per pietà, giustizia, costanza, moderazione».
Erasmo da Rotterdam, nella Institutio principis christiani, pubblicata invece proprio mentre il nostro ha appena concluso e non ancora diffuso Il Principe, nel 1516:
«Il patto tra i principi cristiani è sacro e quanto mai vincolante, e ciò per il semplice fatto che sono cristiani. A che giova ricorrere continuamente ai trattati, come se tutti fossero nemici di tutti? Se l’accordo è concluso con molte clausole si capisce che non si sta agendo con piena fiducia, e spesso infatti vediamo che c’è bisogno di tante e preoccupate garanzie scritte; quando invece l’affare è condotto tra persone disoneste e in malafede, allora sono le stesse clausole del contratto che generano materia di contesa. Allo stesso modo tra principi buoni e saggi c’è salda amicizia anche senza bisogno di ricorrere ad alcun trattato; invece tra principi sciocchi e malvagi le guerre nascono sulla base di quegli stessi accordi che erano stati presi per evitare che una guerra scoppiasse […]]
Tale deve essere la lealtà dei principi nel mantenere ciò che promettono, al punto che la loro semplice promessa risulti più inviolabile del giuramento di chiunque altro. Che cosa orribile è dunque non mantenere quei patti stabiliti con solenni trattati, sanciti per di più con quanto c’è di più sacro presso i cristiani? E tuttavia vediamo che ciò avviene al giorno d’oggi continuamente. E certamente ciò non può succedere se non per immoralità».
Al di là di queste affermazioni, che confrontate con il pragmatismo duro e puro di Machiavelli appaiono quanto meno ingenue, L'Institutio di Erasmo è un testo importante e molto moderno per l'affermazione di principi politici che, al contrario di ciò che qui sembra, vanno in una direzione assolutamente laica. L'opera, non a caso, è stata posta all'Indice nel 1559. Per chi avsse voglia, qui trovate un saggio di approfondimento sull'opera di Erasmo.

Tiziano, Allegoria della prudenza, 1565-70, Londra, National GalleryNella rappresentazione di Tiziano, la prudenza - caratteristica chiave del principe machiavelliano - ha tre teste, tre sguardi sul passato, presente e futuro, ed è incarnata da tre animali: lupo, leone e cane. Manca la volpe, sì.
Prima di concludere: a lezione ho citato il saggio di Erica Benner Be like the fox (Esser volpe, nell'edizione italiana edita da Bompiani), in cui la "volpe" è lo stesso Niccolò per il suo carattere  multiforme (come Ulisse, il più illustre dei "simulatori e dissimulatori") e soprattutto per la natura sbieca, sfuggente e forse interamente ironica dello stesso Principe.



«Molti anni dopo aver scritto il Principe, Machiavelli scrisse a un caro amico che "da tempo in qua, io non dico mai quello che io credo, nè credo mai quel ch'io dico, et se pure e' mi vien detto qualche volta il vero, io lo nascondo fra tante bugie, che è difficile ritrovarlo". Ebbi la sensazione che la saggezza politica alla quale teneva di più non fosse quella delle massime più provocatorie come "è meglio essere temuti che amati". Con queste affermazioni sembrava volesse entrare nel cervello dei suoi lettori: irritarli, confonderli, farli pensare e pensare ancora agli esempi che proponeva. [...] E più lo leggiamo e più evidente risulta che Machiavelli si divertiva a usare i suoi scritti per assumere diverse maschere e giocare ruoli diversi. [...] Ma l'uomo dietro le diverse maschere non era un camaleonte che si adattasse a ogni situazione, pronto a ogni richiesta del signore in quel momento al potere. Come ben sapevano i sui amici più vicini, e come cercherò di documentare in questo libro, non era per nulla disponibile a compromettere i suoi valori».
(Erica Benner, Esser volpe, Bompiani, 2017, pp. 20-21). 
La Benner presenta la vita di Machiavelli-volpe tracciando un profilo di uomo, al contrario, estremamente coerente nella sua fede repubblicana e moralmente forte, che lottando contro infinite difficoltà ha forse, come lettori antichi avevano ipotizzato, tentato l'estrema carta della finzione volpina, suggerendo ai principi consigli folli e aspettando che l'odio popolare li travolgesse. Non voglio con questo suggerire che l'interpretazione proposta dalla Benner sia quella migliore, non ne ho neppure le competenze. Tuttavia è sempre suggestivo guardare a un testo e osservarne la potenza. Ancora, insomma, questo libro ha domande da porre a noi e noi a lui, proprio come faceva Machiavelli con i suoi amati classici. 

Vi rinvio per concludere a sei minuti e mezzo di commento al Principe del già citato Gennaro Sasso, che riepiloga i pilastri dell'interpretazione più accreditata di Machiavelli alla quale, sostanzialmente, ci siamo rifatti in classe, e al bellissimo saggio di Romano Luperini, critico letterario insigne, sullo "scandalo" del Principe. 

Gli scandali, in fondo, sono quelli delle opere che contano, e soprattutto di quelle restano. 

sabato 1 dicembre 2018

Anche noi come Lucia


Cos’è Me too?
Intanto, ecco il suo sito in inglese e, più banalmente, la breve voce in italiano su wikipedia.

Il movimento ha vinto nel 2017 l’importante premio giornalistico di “Persona dell’anno” sul TIME, rivista americana che ogni anno, a dicembre, attribuisce la sua più famosa copertina a colui o colei che ha “segnato” un anno di notizie:



Tuttavia, se pensiamo che la cosa riguardi solo le celebrità e il mondo dello spettacolo (o del lavoro), bisogna ricrederci e pensare alle piccole situazioni quotidiane che - ne abbiamo parlato in classe, partendo dal terzo capitolo dei Promessi Sposi - ci riguardano tutte. Racconta un fatto del genere l’articolo di Jennifer Guerra sulle frequentissime molestie nei mezzi pubblici.


Ilona Granet, Emily Post street signs, 1989

C’è modo e modo di reagire e non reagire alle piccole (?) molestie in strada. Qualcuna (si chiama Naomi Larsson, e vive nel Regno Unito) lo fa seriamente...
Non si tratta però di un fenomeno isolato: su Hollaback Italia, versione italiana del sito legato al gruppo di attiviste e attivisti contro le molestie, che pubblica racconti di storie banali e non, quotidiane e non, c’è una pagina che elenca una serie di risposte e atteggiamenti che bisognerebbe attuare (con un buona dose di coraggio…) contro le molestie, in particolare quelle in strada e sui mezzi pubblici... L’avesse letto Lucia (non leggeremmo in classe i Promessi Sposi, direte voi)!

Per farci un’idea globale e più scientifica sul fenomeno, rinvio però al documento ufficiale dell’ISTAT (l’Istituto nazionale di statistica) che analizza i dati rilevati tra il 2015 e il 2016 in un ampio e rilevante campione di donne e uomini (ovvero - attenzione - il fenomeno riguarda anche i ragazzi, in particolare i ragazzini) tra i 14 e i 65 anni.


martedì 13 novembre 2018

Visioni nuove

E' da un po' che seguo «The Vision», giornale online fondato un anno fa esatto (del 10 novembre 2017 è infatti la sua iscrizione al ROC, il Registro degli Operatori della Comunicazione) con il preciso e salutare intento di aiutare i lettori giovani a «tornare ad avere una “visione di insieme” sugli eventi e sulla realtà empirica che lo circonda» grazie alla chiarezza della scrittura e all'attualità dei temi prescelti.

Mi sembra quindi doveroso segnalarlo, invitarvi a inserirlo tra i "preferiti" e a esplorarlo un po' e per un po', anche se magari arrivo in ritardo e lo conoscete già, visto che il target di riferimento è la fascia d'età tra i 18 e i 25 anni. Voi. 

L'articolo di oggi, 13 novembre, si impone per l'importanza dell'argomento. Scritto bene, senza essere retorico nè muffoso, il pezzo di Jennifer Guerra parla di donne uccise, di italiani e di stranieri. I numeri e il ragionamento sono limpidi e onesti. E di questi tempi non è poco.

domenica 4 novembre 2018

4 novembre '18

Otto Dix, Suicidio in trincea, da Der Krieg, acquaforte, 1924

Cento anni fa, di primo pomeriggio (erano le 15, io sono un po' fuori tempo), finì per l'Italia la Prima guerra mondiale.

Il giorno prima, infatti, fu firmato l'armistizio di Villa Giusti, a Padova, tra il nostro Paese e l'Impero Austro-Ungarico. Festa dell'esercito, festa nazionale, celebrazioni quest'anno rigonfie per l'importante centenario 1918-2018, che giunge alla fine di un triennio fitto di altre celebrazioni e di altre ricorrenze tra quel tragico allora e l'oggi.

Interessante e chiaro, tra tutti, questo articolo di Piero Purich, che riassume studi di altri storici degli ultimi decenni (ricordo almeno Mario Isnenghi, Bruna Bianchi, Antoni Gibelli) e voci di grandi scrittori (Emilio Lussu e Curzio Malaparte, cui devo aggiungere il "mio" Carlo Emilio Gadda).

Interessante e chiaro, e quanto mai attuale: perchè ci mette in guardia, rileggendo quegli anni, contro il nazionalismo e il sovranismo ma anche contro le menzogne della propaganda, le fake news, la vana retorica dell'eroismo e del coraggio, l'uso distorto dei numeri e della statistica. Mali che evidentemente hanno ben più di cento anni, ma che sono fortissimi oggi e vincono tanto più quanto siamo disarmati a riconoscerli. Leggere a fondo le cose, con occhi onesti, è in questo senso la più (e forse la sola) giusta delle armi.



martedì 30 ottobre 2018

Italia-Brasile


In onore di K. e T. credo dovremmo studiarci un po' la situazione del Brasile di oggi, dopo che Bolsonaro ha vinto le elezioni presidenziali.

Per adesso, l'articolo migliore che ho trovato è questo de «Il Post», che ha seguito sempre con attenzione il caso Brasile: https://www.ilpost.it/2018/10/29/jair-bolsonaro-vittoria-brasile/

Già prima delle elzioni, sullo stesso giornale online, ci si poteva chiarire le idee:
https://www.ilpost.it/2018/10/08/jair-bolsonaro-brasile/
https://www.ilpost.it/2017/01/28/brasile-elezioni-presidenziali-candidati/

Il buon «Internazionale», che probabilmente offrirà nuoi articoli della stampa estera del post-elezioni, ad agosto pubblicava questo articolo di un eccellente giornale online francese, piuttosto ben fatto: https://www.internazionale.it/notizie/jean-mathieu-albertini/2018/08/24/estrema-destra-brasile-jair-bolsonaro.



martedì 16 ottobre 2018

Inferno digitale, fatto bene bene

Sandro Botticelli, Disegni per la Divina Commedia, 1480 (Biblioteca Apostolica Vaticana)

Dal classico di Botticelli, a oggi: per visualizzare in modo inedito la topografia dell'Inferno, vi rinvio a questo bel progetto grafico digitale della cooperativa Alpaca, che ha vinto il gran premio e la medaglia d'oro nella categoria Didattica agli IIID Awards 2017, indetto dall'International Institute of Information Design. Bella grafica e grande aiuto!

https://www.alpacaprojects.com/inferno/
Clicca sull'immagine!

Qui invece qualcosa di più tradizionale, ma - tra le tante - chiaro e completo:



mercoledì 3 ottobre 2018

Barba, capelli e musica


Poichè sabato ce e andiamo al Comunale a sentire e vedere il Barbiere di Siviglia di Rossini, se vi va di approfondire e riascoltare ancora, vi consiglio un paio di cose.

Intanto potete scaricarvi da Spotify una buona edizione dell'opera, ce ne sono moltissime. Noi abbiamo ascoltato in classe il baritono Leo Nucci nel ruolo di Figaro, Cecilia Bartoli nel ruolo di Rosina e il Conte d'Almaviva William Matteuzzi. Era una edizione DECCA del 1989, e l'Orchestra del Teatro comunale di Bologna era diretta da Giuseppe Patanè.


Un'altra edizione alla quale sono affezionata io (la prima che avevo ascoltato millenni fa) è questa Deutsche Grammophone, con Placido Domingo e Ruggero Raimondi che canta in modo strepitoso l'aria della "calunnia".


Interessante, come vi dicevo, la lezione di musica - divertente e ben fatta davvero - che si può godere su Rai Play: le prime due puntate del programma di Rai 5 "L'opera italiana" sono sui Barbieri, quello di Paisiello e quello di Rossini, soprattutto questo. Ecco qui il link!
Bella anche questa edizione integrale dell'opera - sempre su Rai 5 - girata dal vivo pochi anni fa al Teatro Regio di Torino, tra l'altro sottotitolata.
Amor e fede eterna
si vegga in voi regnar!

venerdì 28 settembre 2018

Storico, e seicentesco...


Un paio di citazioni sulla scelta del romanzo storico e del Seicento: 
«Per indicarvi brevemente la mia idea principale sui romanzi storici e mettervi così sulla via per rettificarla, Vi dirò che li concepisco come la rappresentazione di uno stato determinato della società per mezzo di fatti e di caratteri così simili alla realtà che li si possa ritenere una storia veritiera appena scoperta. Quando vi si mescolano avvenimenti e personaggi storici, credo che bisogni rappresentarli nella maniera più strettamente storica; così, ad es., Riccardo Cuor-di-Leone mi sembra difettoso nell’Ivanhoe». (Lettera a Claude Fauriel, 3 novembre 1821)
«Le memorie che ci restano di tale epoca presentano e ci fanno supporre una situazione sociale veramente straordinaria: il governo più arbitrario combinato con l'anarchia feudale e l'anarchia popolare; una legislazione stupefacente per ciò che prescrive e per ciò che lascia intendere, o che descrive; una ignoranza profonda, feroce, e presuntuosa; classi sociali aventi interessi e norme opposte; alcuni eventi poco noti, ma affidati a scritti degnissimi di fede, e che testimoniano il grande sviluppo di tutto ciò; infine una peste, che ha dato occasione alla scelleratezza più consumata e sfrontata, ai pregiudizi più assurdi e alle virtù più commoventi».
(Lettera a Claude Fauriel, 29 maggio 1822)

L'Italia dopo il trattato di Cateau-Cambrésis (1552)

Per ascoltare gratuitamente l'audiolibro dei Promessi Sposi, letto benissimo da tre attori eccezionali, vi consiglio le puntate di Ad alta voce di Rai Radio 3. Bisogna fare, se non l'avete, la registrazione a RaiPlayRadio...

venerdì 21 settembre 2018

I Promessi Sposi, per cominciare


Il romanzo di Alessandro Manzoni intitolato I Promessi Sposi è stato scritto con difficoltà e grandi ripensamenti. 

La prima stesura, che lo scrittore milanese allora trentaseienne inizia a stendere a mano (e come, se no?), risale agli anni tra il 1821 e il 1823. Non ha e non avrà mai un vero titolo, visto che Manzoni non l'ha mai voluta pubblicare, ma per convenzione* viene citata indicando il nome dei suoi protagonisti, gli sposi Fermo e Lucia. La trama c'è già praticamente tutta, ma è un romanzo più "carico": ad esempio i cattivi sono molto cattivi e alcune vicende più dettagliatamente macabre, perchè così erano scritti molti romanzi che andavano per la maggiore all'estero, che Manzoni conosceva bene.

Manzoni tuttavia non è soddisfatto, e ben presto lo riscrive interamente: la seconda stesura, questa sì pubblicata in tre volumi nel 1827, è quindi alleggerita di molto in alcune parti e uniformata nella lingua: da un lato, cioè, Manzoni taglia le parti più scabrose e "modaiole" e un lungo inserto storiografico* sulla peste del Seicento a Milano, dall'altro, ne uniforma la lingua eliminando le voci dialettali, certo forse più realistiche, ma poco comprensibili fuori dalla Lombardia. In particolare, sceglie di usare una lingua simile a quella dei libri classici, su un modello toscano "letterario" e non utilizzato nel parlato da secoli, per non dire forse mai. Per questa prima edizione Manzoni sceglie un vero titolo: I Promessi Sposi.
E' un grande successo: le prime duemila copie vanno a ruba (è un modo di dire: vengono vendute a un prezzo variabile, 12 lire su carta economica, 20 su carta di pregio, e se le comprano soprattutto i borghesi più benestanti); a dicembre del 1827 il romanzo viene ristampato ben otto volte e da otto editori diversi, anche se non sempre - e su questo torneremo tra un po' - Manzoni ci guadagna dei soldi.

Ma il nostro autore, con tutti i suoi tormenti e le sue insicurezze psicologiche, non è ancora soddisfatto.
In particolare, e nonostante il buon successo editoriale, capisce che la lingua è il suo punto debole. Come accade in Francia e in tutta Europa, perchè non svecchiare il modo di scrivere (e leggere!) degli italiani, e passare a una lingua viva, parlata davvero, più ricca di umanità e sfumature moderne?
Allora riprende in mano i tre volumi già pubblicati e comincia a riscriverli per intero usando la lingua parlata dalla gente a Firenze - città colta, con grande tradizione anche letteraria. Per lui è come una lingua straniera, o quasi. Ha bisogno di impratichirsi parlandola e ascoltandola parlare, e a Firenze si trasferisce per qualche mese, come faremmo noi per perfezionare una lingua straniera o un altro dialetto.

La terza stesura e seconda edizione del romanzo viene perciò pubblicata nel 1940. I critici la chiamano "quarantana" (mentre quella del '27 "ventisettana"). Anche questa edizione è un grande successo editoriale, che però soffre ancora più della prima di un problema terribile per gli artisti: escono infatti moltissime copie pirata, perchè in Italia, in questo periodo, la legge sul diritto d'autore  tutela poco gli scrittori: basta stampare il libro in una tipografia di un altro Stato della penisola e il gioco è fatto. Manzoni si dispera a vuoto, idea alcune strategie editoriali che spiazzino gli editori  (ad esempio il romanzo non esce tutto in una volta ma a singoli fascicoli periodici) ma perde comunque moltissimo denaro. Non che avesse problemi economici, ma la rabbia lo divora.

Trasformazioni linguistiche a parte (aspetto ovviamente fondamentale), il vero colpo di genio di un Manzoni davvero "moderno" è quello di far uscire il libro con un'impaginazione accattivante, curata e alla portata di un pubblico più vasto e curioso, che magari aveva già in casa la ventisettana, ma non può lasciarsi sfuggire questa novità strepitosa: Manzoni chiede infatti la collaborazione di un bravissimo illustratore torinese, Francesco Gonin, e insieme costruiscono un libro mai visto prima (del resto, senza film in costume...). Ogni parte del romanzo è accompagnata da un disegno che fa vedere - letteralmente - ai lettori ciò che forse non avevano mai visto: i personaggi, le case, i paesaggi, i vestiti del Seicento. Ogni pagina è pensata dal punto di vista grafico, perchè sia leggibile, bella a vedersi, chiara e ben proporzionata nelle sue parti. Insomma un libro nuovo, in tutti i sensi.


Un dettaglio non da poco, in apparente contrasto con quanto raccontato fin qui (sul quale torneremo bene in quinta), è la scelta di aggiungere al romanzo la Storia della colonna infame: si tratta del resoconto, basato rigorosamente su documenti storici, di un episodio accaduto a Milano durante la peste del Seicento, ovvero il drammatico processo a due persone innocenti, accusate di essere "contagiatori" di professione o, come dice Manzoni, "untori" e giustiziati nel 1630. E', un po' rielaborata, la digressione* che Manzoni aveva eliminato nella ventisettana, che stavolta sceglie di pubblicare in appendice* al romanzo, per darle evidenza senza appesantire la narrazione (ai suoi lettori, come è evidente, ci pensava!). 

Per ora, è tutto (e non è poco...)!

* L'asterisco indica alcune parole difficili forse da cercare nel vocabolario e imparare... insomma da capire bene.


venerdì 1 giugno 2018

Letture per l'estate 2018 - Scienza

Dopo i romanzi (insomma, le storie raccontate...), piccola selezione di saggi di divulgazione scientifica, scelti da una non-scienziata ma approvati da chi sapete voi.

1. Intanto nella categoria "neuroscienze" (la più intrigante, per quanto mi riguarda), il più famoso libro di Oliver Sacks, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, del 1985: prosopagnosia, sindrome di Tourette, sindrome di Korsakoff e dell'arto fantasma... scientifico, filosofico, molto umano.


Dello stesso autore, ho suggerito anche Vedere voci, esplorazione avvincente e interessantissima sul mondo dei sordi.


2. Categoria "storia-geografia-antropologia": l'illuminante saggio di Jared Diamond (in realtà ornitologo) Armi, acciaio e malattie, che prova a dare una risposta scientifica alla domanda delle domande: perchè i "bianchi" hanno dominato il mondo e gli altri no. Un libro anche discusso, come tutti i libri intelligenti e coraggiosi, e scritto benissimo.


3. Per abili concorrenti del Premio Asimov come voi, è il momento di leggere per davvero le Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli, del 2014, per la loro semplicità, efficacia, chiarezza. E brevità.


4. Chimica: sulla tavola periodica, oltre ai bellissimi racconti di Primo Levi, ci racconta fantastiche storie vere Sam Kean, in un saggio divertente e molto ben scritto, La scomparsa del cucchiaino, del 2010. Il cucchiaino che scompare nel the è fatto di gallio, ma gli elementi, e le storie che vi compaiono nelle pagine saranno moltissime.


5. Biologia: la mitica prof TX ci consiglia un libro intrigante fin dalla copertina, Il sorriso del fenicottero del pioniere della divulgazione scientifica Stephen Jay Gould (uscito nel 1985). Un classico.


6. Infine, un libro trasversale, che ci aiuta in modo chiarissimo a difenderci da abbagli, ciarlatanerie, oscurantismo e affari altrui: La cattiva scienza di Ben Goldacre, del 2008. 

Contro la disinformazione scientifica, bello anche il suo intervento su TED


La selezione è parziale e - come tutte le altre - molto soggettiva! Ma è un punto di partenza, perchè l'anno prossimo di scienza e scrittura di scienza riparleremo, e leggerne fa bene sempre.  

Letture per l'estate 2018 - Romanzi e Storie

Eccoci qui.
La regola, ma già lo sapete, è questa: tre libri a vostra scelta, non uno di meno ma molti di più chi volesse. Tra questi, oppure, partendo da questi, attraverso altre piste che possiamo anche scegliere insieme.

Riprendo l'ordine seguito in classe, con qualche altro link che mi (o ci) è venuto in mente.

E quindi:

1. Fondamento della modernità (scienza, etica, doppio, seduzione del male): Robert Louis Stevenson, Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde, 1889


2. Potentissimo (il marinaio sexy, ignorante, acuto e ambizioso che diventa intellettuale per amore e...): Jack London, Martin Eden, 1902 (qui vi consiglio l'edizione Feltrinelli, ma vedete voi).


Pure bellissimi gli altri libri di London: la storia del Vagabondo delle stelle ha intrigato subito V. , ma anche Il tallone di ferro...

3. Il più efficace (forse) tra i romanzi sulla Grande Guerra - occhio all'anniversario del '18! Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, 1927


Vi ricordo anche lo splendido film di Stanley Kubrick tratto da questo romanzo autobiografico: Orizzonti di gloria

4. Bellissimo da leggere a 18 anni (o giù di lì), quando si cerca: Hermann Hesse, Siddhartha, 1922 . esiste solo l'edizione Adelphi, ma è un piacere possederla. 

«Quando qualcuno cerca, allora accade facilmente che il suo occhio perda la capacità di vedere ogni altra cosa, fuori di quella che cerca, e che egli non riesca a trovar nulla, non possa assorbir nulla, in sé, perché pensa sempre unicamente a ciò che cerca, perché ha uno scopo, perché è posseduto dal suo scopo. Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: essere libero, restare aperto, non avere scopo»
5. Favola politica crudelissima, e molto adulta: George Orwell, La fattoria degli animali, 1945 (Tutti gli animali - come gli alunni - sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri).



6. Ancora fantapolitica, fantastoria, nella più potente delle distopie: George Orwell, 1984, 1947




Come suggeriva V., a questo libro leghiamo altre due splendidi romanzi distopici: Ray Bradbury, Fahrenheit 451 e Aldous Huxley, Il mondo nuovo che nel 1932 parla di eugenetica, controllo mentale e uso distorto della scienza. 
Aggiungo qui anche Il racconto dell'ancella di Margaret Atwood, da cui è stata tratta la serie TV omonima. Tutti da leggere!

7. Il primo romanzo onesto, poetico e indimenticabile sull'essere "giovani": J.D. Salinger, Il giovane Holden, 1951 - nella traduzione del  2014 di Matteo Colombo



8. Un grande-piccolo racconto sull'essere "vecchi", e continuare a lottare, ma anche sul rapporto con la natura e gli animali: Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare, 1952



9. Il tema sempre attuale del razzismo, della paura del diverso, del "buio", visto con gli occhi di una bambina: Harper Lee, Il buio oltre la siepe, 1960 (non farsi spaventare dall'inizio un po' in salita!).


10. Altro inizio in salita, ma coraggio, diventa un libro bellissimo ambientato nei labirinti di Gerusalemme, dell'amore e della droga: David Grossman, Qualcuno con cui correre, 2002.


11. San Diego, California: un ex mafioso surfista cerca di diventare una brava persona ma viene raggiunto dal suo passato: brillante e avvincente. Don Winslow, L'inverno di Frankie Machine, 2006


12. «Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Nome di battesimo: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 16 dicembre 1973»: Alice Sebold, Amabili resti, 2002 (lasciar perdere il film, o superarlo). 



Sulla violenza subita e raccontata da Alice Sebold, abbiamo nominato il suo Lucky («fortunata»), duro, durissimo. 

13. Non si può, onestamente, non leggere una cosa almeno di Stephen King. Io preferisco il classico Misery e i racconti di Stagioni diverse (non horror, scritti benissimo). Ma ce n'è molti altri, ad esempio Joyland, scelto da A.





14. Anche questo scelto da A., ma pure da me: uno degli scrittori più veri, che non si può non amare da matti, John Fante, nelle storie di Arturo Bandini, da Aspetta primavera, Bandini (del 1938) a Chiedi alla polvere (del 1939)...




15. Sembra davvero bello, anche per l'uso delle foto d'epoca, il fantasy di Ransom Riggs, La casa dei bambini speciali di Miss Peregrine (e anche qui, lasciate perdere il film...). 




16. Scelto da E., e probabilmente imperdibile, l'autobiografia di Helga Schneider, Il rogo di Berlino, del 1995 - mi ha convinto!



17. Un romanzo forte, sull'amore che distrugge e sulla follia che abbiamo dentro di noi: Patrick McGrath, Follia, 1996



 18. Altra inspiegabile follia, da leggere in una sera, con ansia crescente e complimenti all'autore, Kevin Brooks, Bunker diary, 2013 



19. Un padre e un figlio piccolo persi nell'apocalisse: devastante e commovente, Cormac McCarthy, La strada, 2006.



20. Non è un'apocalisse ma un'epidemia di polio negli anni '40 lascia sconvolti comunque. A raccontarne una storia, nel suo Nemesi, è il bravissimo Philip Roth, strepitoso scrittore americano morto pochi giorni fa (ma l'avrei scelto comunque). 



21. Una storia vera e pulsante: l'autobiografia più famosa e intelligente del mondo dello sport, Open di André Agassi. Ovvero, può un supercampione di tennis detestare il tennis, e se stesso? 



22. Un modello di scrittura brillante, un racconto di viaggio assurdo: l'inarrivabile (nel suo genere) David Foster Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più, del 1997



23. Due fumetti imperdibili, capolavori del genere (graphic journalism e graphic novel), "costano" in tutti i sensi ma valgono la pena: Joe Sacco, Palestina e David B., Il grande male. La tragedia palestinese e l'epilessia (grave) come nessuno li ha mai raccontati. 




Vi ricordo anche il suggerimento di metodo: andate in libreria (diamo lavoro ai librai - boicottiamo la grande distribuzione e le internet company!) - chiedete se ci sono più edizioni dello stesso libro (o andate preparati facendo figuroni) - fatevele dare - annusatele e soppesatele - leggete l'incipit e scegliete quello che vi cattura di più. Con questi libri non avrete molta scelta, perché quasi tutti hanno un'unica edizione, ma vale come consiglio per la vita!

Buone letture ❤