venerdì 21 settembre 2018

I Promessi Sposi, per cominciare


Il romanzo di Alessandro Manzoni intitolato I Promessi Sposi è stato scritto con difficoltà e grandi ripensamenti. 

La prima stesura, che lo scrittore milanese allora trentaseienne inizia a stendere a mano (e come, se no?), risale agli anni tra il 1821 e il 1823. Non ha e non avrà mai un vero titolo, visto che Manzoni non l'ha mai voluta pubblicare, ma per convenzione* viene citata indicando il nome dei suoi protagonisti, gli sposi Fermo e Lucia. La trama c'è già praticamente tutta, ma è un romanzo più "carico": ad esempio i cattivi sono molto cattivi e alcune vicende più dettagliatamente macabre, perchè così erano scritti molti romanzi che andavano per la maggiore all'estero, che Manzoni conosceva bene.

Manzoni tuttavia non è soddisfatto, e ben presto lo riscrive interamente: la seconda stesura, questa sì pubblicata in tre volumi nel 1827, è quindi alleggerita di molto in alcune parti e uniformata nella lingua: da un lato, cioè, Manzoni taglia le parti più scabrose e "modaiole" e un lungo inserto storiografico* sulla peste del Seicento a Milano, dall'altro, ne uniforma la lingua eliminando le voci dialettali, certo forse più realistiche, ma poco comprensibili fuori dalla Lombardia. In particolare, sceglie di usare una lingua simile a quella dei libri classici, su un modello toscano "letterario" e non utilizzato nel parlato da secoli, per non dire forse mai. Per questa prima edizione Manzoni sceglie un vero titolo: I Promessi Sposi.
E' un grande successo: le prime duemila copie vanno a ruba (è un modo di dire: vengono vendute a un prezzo variabile, 12 lire su carta economica, 20 su carta di pregio, e se le comprano soprattutto i borghesi più benestanti); a dicembre del 1827 il romanzo viene ristampato ben otto volte e da otto editori diversi, anche se non sempre - e su questo torneremo tra un po' - Manzoni ci guadagna dei soldi.

Ma il nostro autore, con tutti i suoi tormenti e le sue insicurezze psicologiche, non è ancora soddisfatto.
In particolare, e nonostante il buon successo editoriale, capisce che la lingua è il suo punto debole. Come accade in Francia e in tutta Europa, perchè non svecchiare il modo di scrivere (e leggere!) degli italiani, e passare a una lingua viva, parlata davvero, più ricca di umanità e sfumature moderne?
Allora riprende in mano i tre volumi già pubblicati e comincia a riscriverli per intero usando la lingua parlata dalla gente a Firenze - città colta, con grande tradizione anche letteraria. Per lui è come una lingua straniera, o quasi. Ha bisogno di impratichirsi parlandola e ascoltandola parlare, e a Firenze si trasferisce per qualche mese, come faremmo noi per perfezionare una lingua straniera o un altro dialetto.

La terza stesura e seconda edizione del romanzo viene perciò pubblicata nel 1940. I critici la chiamano "quarantana" (mentre quella del '27 "ventisettana"). Anche questa edizione è un grande successo editoriale, che però soffre ancora più della prima di un problema terribile per gli artisti: escono infatti moltissime copie pirata, perchè in Italia, in questo periodo, la legge sul diritto d'autore  tutela poco gli scrittori: basta stampare il libro in una tipografia di un altro Stato della penisola e il gioco è fatto. Manzoni si dispera a vuoto, idea alcune strategie editoriali che spiazzino gli editori  (ad esempio il romanzo non esce tutto in una volta ma a singoli fascicoli periodici) ma perde comunque moltissimo denaro. Non che avesse problemi economici, ma la rabbia lo divora.

Trasformazioni linguistiche a parte (aspetto ovviamente fondamentale), il vero colpo di genio di un Manzoni davvero "moderno" è quello di far uscire il libro con un'impaginazione accattivante, curata e alla portata di un pubblico più vasto e curioso, che magari aveva già in casa la ventisettana, ma non può lasciarsi sfuggire questa novità strepitosa: Manzoni chiede infatti la collaborazione di un bravissimo illustratore torinese, Francesco Gonin, e insieme costruiscono un libro mai visto prima (del resto, senza film in costume...). Ogni parte del romanzo è accompagnata da un disegno che fa vedere - letteralmente - ai lettori ciò che forse non avevano mai visto: i personaggi, le case, i paesaggi, i vestiti del Seicento. Ogni pagina è pensata dal punto di vista grafico, perchè sia leggibile, bella a vedersi, chiara e ben proporzionata nelle sue parti. Insomma un libro nuovo, in tutti i sensi.


Un dettaglio non da poco, in apparente contrasto con quanto raccontato fin qui (sul quale torneremo bene in quinta), è la scelta di aggiungere al romanzo la Storia della colonna infame: si tratta del resoconto, basato rigorosamente su documenti storici, di un episodio accaduto a Milano durante la peste del Seicento, ovvero il drammatico processo a due persone innocenti, accusate di essere "contagiatori" di professione o, come dice Manzoni, "untori" e giustiziati nel 1630. E', un po' rielaborata, la digressione* che Manzoni aveva eliminato nella ventisettana, che stavolta sceglie di pubblicare in appendice* al romanzo, per darle evidenza senza appesantire la narrazione (ai suoi lettori, come è evidente, ci pensava!). 

Per ora, è tutto (e non è poco...)!

* L'asterisco indica alcune parole difficili forse da cercare nel vocabolario e imparare... insomma da capire bene.


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