venerdì 6 giugno 2014

R.L. Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, 1886)

L'avvocato Utterson era un uomo dall'aspetto rude, non s'illuminava mai di un sorriso; freddo, misurato e imbarazzato nel parlare, riservato nell'esprimere i propri sentimenti; era un uomo magro, lungo, polveroso e triste, eppure in un certo senso amabile. Nelle riunioni di amici, quando il vino era di suo gusto, gli traspariva negli occhi qualcosa di veramente umano; qualcosa che non trovava mai modo di risultare nelle sue parole, e che si manifestava, oltre che in quella silenziosa espressione della faccia dopo una cena, più spesso ancora e più vivamente nelle azioni della sua vita. L'avvocato era severo nei riguardi di se stesso; quando si trovava solo, beveva gin, per mortificare l'inclinazione verso i buoni vini; e, sebbene il teatro lo attirasse, non aveva mai varcato la soglia di un teatro in vent'anni.


Voltaire, Candido o l'ottimismo (Candide ou l'optimisme, 1759)

C'era in Vestfalia, nel castello del signor barone di Thunder-ten-tronckh, un giovane a cui la natura aveva conferito i costumi più miti. Il suo aspetto ne rivelava l'anima. Possedeva un giudizio abbastanza retto, unito a una grande semplicità; per questo, credo, lo chiamavano Candido. I vecchi domestici del castello sospettavano fosse figlio della sorella del signor barone e di un onesto e buon gentiluomo delle vicinanze che madamigella non volle mai come marito perché non aveva potuto provare che settantun quarti: il resto del suo albero genealogico era stato distrutto dalle ingiurie del tempo.


Emilio Lussu, Un anno sull'altipiano, 1936

Alla fine maggio 1916, la mia brigata – reggimenti 399° e 400° – stava ancora sul Carso. Sin dall'inizio della guerra, essa aveva combattuto solo su quel fronte. Per noi, era ormai diventato insopportabile. Ogni palmo di terra ci ricordava un combattimento o la tomba di un compagno caduto. Non avevamo fatto altro che conquistare trincee, trincee e trincee. Dopo quella dei "gatti rossi", era venuta quella dei "gatti neri", poi quella dei "gatti verdi". Ma la situazione era sempre la stessa. Presa una trincea, bisognava conquistarne un'altra. Trieste era sempre là, di fronte al golfo, alla stessa distanza, stanca. La nostra artiglieria non vi aveva voluto tirare un sol colpo. Il duca d'Aosta, nostro comandante d'armata, la citava ogni volta, negli ordini del giorno e nei discorsi, per animare i combattenti.


Edgar Allan Poe, Racconti (ed. Feltrinelli), 1844-45

È la verità! Sono nervoso, sono stato e sono molto, molto, terribilmente nervoso; ma perché volete dire che sono un pazzo? Il male ha affinato i miei sensi, non distrutti, non annientati. Più di chiunque altro avevo avuto acuto il senso dell'udito. Ho ascoltato tutte le voci del cielo e della terra. Molte ne ho intese dall'inferno. Per questo sono pazzo? Uditemi! e osservate con che precisione, con che calma io posso narrarvi tutta la storia.
Non è possibile dirvi come in principio l'idea entrò nel mio cervello; ma una volta concepita, essa mi possedé giorno e notte. Non v'era né scopo né passione. Io amavo il vecchio, non mi aveva mai colpito. Non mi aveva mai insultato. Non desideravo affatto il suo oro.

(da Il cuore rivelatore)

Agatha Christie, Dieci piccoli indiani (And then there were none, 1939)

In un angolo dello scompartimento fumatori di prima classe, il signor Wargrave, giudice da poco in pensione, tirò una boccata di fumo dal sigaro e scorse con interesse le notizie politiche del «Times». Poi, depose il giornale sulle ginocchia e guardò fuori dal finestrino. Il treno correva attraverso il Somerset.
Diede un'occhiata all'orologio: ancora due ore di viaggio.
Ripensò a quello che i giornali avevano scritto su Nigger Island.




Salinger, Il giovane Holden (The Catcher in the Rye, 1951)

Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio di infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto.



George Orwell, La fattoria degli animali (Animal Farm, 1945)

«Il signor Jones, della Fattoria Padronale, serrò a chiave il pollaio per la notte, ma, ubriaco com'era, scordò di chiudere le finestrelle. Nel cerchio di luce della sua lanterna che danzava da una parte all'altra attraversò barcollando il cortile, diede un calcio alla porta retrostante la casa, da un bariletto nel retrocucina spillò un ultimo bicchiere di birra, poi si avviò su, verso il letto, dove la signora Jones già stava russando.
Non appena la luce nella stanza da letto si spense, tutta la fattoria fu un brusio, un'agitazione, uno sbatter d'ali. Durante il giorno era corsa voce che il Vecchio Maggiore, il verro Biancocostato premiato a tutte le esposizioni, aveva fatto la notte precedente un sogno strano che desiderava riferire a tutti gli animali. Era stato convenuto che si sarebbero riuniti nel grande granaio, non appena il signor Jones se ne fosse andato sicuramente a dormire. Il Vecchio Maggiore (così era chiamato, benché fosse stato esposto con il nome di Orgoglio di Willingdon) godeva di così alta considerazione nella fattoria che ognuno era pronto a perdere un'ora di sonno per sentire quello che egli aveva da dire».