venerdì 14 dicembre 2018

Volpi, leoni e qualche confronto


«In verità, ci sono due maniere di contendere: con la ragione e con la forza; e poiché la ragione è propria dell'uomo e la forza è propria delle bestie, bisogna ricorrere alla seconda solo quando non ci si può avvalere della prima». 
Se siamo distratti, o di abbiamo poca memoria, potremmo giurare di aver appena letto un passo del XXVIII capitolo del Principe, quello che abbiamo definito il più scandaloso, provocatorio, traumatico dell'opera.
Non di Machiavelli tuttavia si tratta, ma del De officiis, un trattato sulla morale (la traduzione del titolo potrebbe essere "Sui doveri dell'uomo", cioè sul "dover essere", su ciò che è giusto fare) composto da Marco Tullio Cicerone, grande avvocato, politico, filosofo e scrittore, nel 44 a.C. 
Un modello, com'è tipico del Rinascimento, compreso, amato e fatto proprio da Machiavelli in quel suo dialogo ininterrotto con i classici, reso anche più intenso negli anni dell'Albergaccio («non sento per 4 hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottiscie la morte: tucto mi trasferisco in loro», scriveva a Vettori il 10 dicembre del 1513 - e stavolta ho lasciato inalterata la grafia cinquecentesca delle parole).

Ciò non deve stupirci, perchè il De officiis, scritto in tre libri nell'anno dell'assassinio di Cesare, è un'opera fortemente intrisa di politica e dunque estremamente affine agli interessi del Machiavelli, interessante per la prospettiva repubblicana del suo autore, fortemente anticesariana e, in sostanza, anti-tirannide. Naturale che entri tra i precedenti del Principe, e che esistano tra i testi somiglianze, qui davvero eclatanti.
Machiavelli quindi accoglie e rielabora la lezione di Cicerone (confrontate la traduzione del De officiis con le parole di Machiavelli all'inizio del XVIII capitolo del Principe). Tuttavia - sarei tantata di scrivere "nondimanco" - se procediamo nella lettura di Cicerone ci rendiamo conto che qualcosa non torna:
«In due modi poi si può recare offesa: cioè con la forza/violenza (latino "vi") o con la frode/inganno (latino "fraude"); con la frode che è propria dell'astuta volpe e con la violenza che è propria del leone; indegnissime l'una e l'altra dell'uomo, ma la frode è assai più odiosa.  Fra tutte le specie d'ingiustizia, però, la più detestabile è quella di coloro che, quando più ingannano, più cercano di apparir galantuomini».
Se dobbiamo scegliere, dice Cicerone, meglio essere costretti a fare la parte dei leoni, perchè le volpi (ingannevoli, astute, subdole) sono «detestabili». Per Machiavelli invece, come sappiamo, «coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendono», cioè non si rendono conto del potere che in politica gioca l'astuzia, e più facilmente "ruinano".
Il nostro autore, sempre a suo agio «nelle antique corti degli antiqui huomini», riesce anche qui a citare quasi letteralmente Cicerone, vero autore culto del Rinascimento italiano, affermando però in modo altrettanto forte e perentorio l'esatto contrario di quanto questi sosteneva.
Sono passati più di 1500 anni di storia, tra Cicerone e Machiavelli: pur ripettando un principio di emulazione tipicamente Rinascimentale, Machiavelli attualizza la lezione del grande modello alla luce della modernità, della sua conoscenza di un "futuro" che Cicerone non poteva conoscere (e che futuro! l'impero romano e l'avvento del cristianesimo, la rovina e la trasformazione di quest'impero, l'ascesa dell'islam, la costituzione delle realtà politiche europee in perenne evoluzione e la trasformazione delle forme di potere e di diritto).

Tuttavia, se il De officiis è l'opera alla quale più direttamente Machiavelli pensa quando scrive il XVIII capitolo del suo «opuscolo», l'immagine bestiale (e la parola a buon diritto ci riporta alla stessa radice di "bestiario", perchè in entrambi i contesti si fa uso allegorico dell'animale) ci riconnette direttamente con il Medioevo, e con Dante in particolare.
Gustave Doré, Inferno, XII
In primo luogo infatti, già la figura ibrida di Chirone ci riporta al suo Inferno, perchè il centauro è, insieme ad altri, il guadiano - non a caso - dei principi-tiranni immersi nel Flegetonte (XII, 104-105).
In secondo luogo, più avanti e più giù nell'imbuto infernale, laddove vengono puniti i frudolenti - un canto dopo, esattamente, la memorabile scena di Ulisse - facendo parlare di sè Guido da Montefeltro, Dante scrive:

mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe
che la madre mi diè, l'opere mie
non furon leonine, ma di volpe.
Li accorgimenti e le coperte vie
io seppi tutte, e sì menai lor arte,
ch'al fine della terra il suono uscie. 
(If, XVII, 73-78)
La volpe è fraudolenta, insomma, e per questo colui che allegoricamente la incarna deve essere punito in eterno, perchè ogni astuzia e sotterfugio («li accorgimenti e le coperte vie») è una colpa grave che non può sfuggire all'intelligenza di Dio («al fine della terra il suono uscie», ovvero "infine la fama delle mie frodi uscì dalla terra e arrivò in cielo": non si può essere simulatori o dissimulatori in eterno, perchè Dio, che non è nostro suddito nè alleato, ci scopre comunque).

Anche nei confronti di Dante, come è accaduto per Cicerone, esiste in Machiavelli una precisa volontà di rovesciamento, «la volontà di contrapporre a quello del poeta un concetto diverso; che rinvia naturalmente a un diverso fondamento» (cito un saggio di Gennaro Sasso, Machiavelli egli antichi. E altri saggi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1997). Quale sia questo diverso "fondamento" lascio a voi immaginarlo, pensando alla diversa, diversissima concezione del mondo e dell'uomo che sta dietro i due grandi autori e alla diversa, diversissima funzione che orienta questi loro capolavori.



Altro tassello di questo insolito post-lezione (nella duplice accezione che possiamo dare a "post"!), è il confronto tra la parola di Machiavelli e i suoi più diretti e vicini precedenti rinascimentali. Non che questi parlino di bestie, nè volpi nè leoni, ma perchè è interessante per noi osservare "dal vero" l'enorme distanza metodologica che intercorre tra il segretario fiorentino e due autori illustri di Specula principis, Giovanni Pontano e il più illustre Erasmo da Rotterdam.
Entrambi gli autori, in due trattati scritti in latino, affrontano il tema dei "patti da rispettare": il principio "pacta sunt servanda", risalente al diritto romano, è infatti fondamentale in qualsiasi sistema giuridico pubblico e privato, nazionale e internazionale.
Il primo (Pontano) ribadisce la necessità morale (ecco qui!) di una sincerità e lealtà assoluta. Il secondo (Erasmo) si spinge addiruttura a decretare che tra principi «cristiani» - come dire, tra galantuomini - non è neppure necessario scriverli, i patti, perchè il loro rispetto è per natura assoluto anche sulla parola, sulla promessa, sul virtuale.

Giovanni Pontano, nel De Principe, che è del 1465, quindi precede di cinquant'anni l'opera di Machiavelli, che l'ha certamente letta e immagino assai criticata in cuor suo:
«Vanno infatti considerate molte altre cose, soprattutto che nulla vi è di più vergognoso del non mantenere la parola: che è un impegno tanto importante che, anche quando la parola è stata data a un nemico, tuttavia è necessario rispettarla.
Ed essendo la lealtà (fides) come dicono gli antichi, costanza e sincerità nelle parole e nei patti, il principe non deve anteporre nulla alla sincerità. […] vivi in modo da essere sempre coerente con te stesso, rispettando, in tutte le tue parole e azioni, la fedeltà e la costanza. Cerca di primeggiare non solo per il tuo potere, ma per pietà, giustizia, costanza, moderazione».
Erasmo da Rotterdam, nella Institutio principis christiani, pubblicata invece proprio mentre il nostro ha appena concluso e non ancora diffuso Il Principe, nel 1516:
«Il patto tra i principi cristiani è sacro e quanto mai vincolante, e ciò per il semplice fatto che sono cristiani. A che giova ricorrere continuamente ai trattati, come se tutti fossero nemici di tutti? Se l’accordo è concluso con molte clausole si capisce che non si sta agendo con piena fiducia, e spesso infatti vediamo che c’è bisogno di tante e preoccupate garanzie scritte; quando invece l’affare è condotto tra persone disoneste e in malafede, allora sono le stesse clausole del contratto che generano materia di contesa. Allo stesso modo tra principi buoni e saggi c’è salda amicizia anche senza bisogno di ricorrere ad alcun trattato; invece tra principi sciocchi e malvagi le guerre nascono sulla base di quegli stessi accordi che erano stati presi per evitare che una guerra scoppiasse […]]
Tale deve essere la lealtà dei principi nel mantenere ciò che promettono, al punto che la loro semplice promessa risulti più inviolabile del giuramento di chiunque altro. Che cosa orribile è dunque non mantenere quei patti stabiliti con solenni trattati, sanciti per di più con quanto c’è di più sacro presso i cristiani? E tuttavia vediamo che ciò avviene al giorno d’oggi continuamente. E certamente ciò non può succedere se non per immoralità».
Al di là di queste affermazioni, che confrontate con il pragmatismo duro e puro di Machiavelli appaiono quanto meno ingenue, L'Institutio di Erasmo è un testo importante e molto moderno per l'affermazione di principi politici che, al contrario di ciò che qui sembra, vanno in una direzione assolutamente laica. L'opera, non a caso, è stata posta all'Indice nel 1559. Per chi avsse voglia, qui trovate un saggio di approfondimento sull'opera di Erasmo.

Tiziano, Allegoria della prudenza, 1565-70, Londra, National GalleryNella rappresentazione di Tiziano, la prudenza - caratteristica chiave del principe machiavelliano - ha tre teste, tre sguardi sul passato, presente e futuro, ed è incarnata da tre animali: lupo, leone e cane. Manca la volpe, sì.
Prima di concludere: a lezione ho citato il saggio di Erica Benner Be like the fox (Esser volpe, nell'edizione italiana edita da Bompiani), in cui la "volpe" è lo stesso Niccolò per il suo carattere  multiforme (come Ulisse, il più illustre dei "simulatori e dissimulatori") e soprattutto per la natura sbieca, sfuggente e forse interamente ironica dello stesso Principe.



«Molti anni dopo aver scritto il Principe, Machiavelli scrisse a un caro amico che "da tempo in qua, io non dico mai quello che io credo, nè credo mai quel ch'io dico, et se pure e' mi vien detto qualche volta il vero, io lo nascondo fra tante bugie, che è difficile ritrovarlo". Ebbi la sensazione che la saggezza politica alla quale teneva di più non fosse quella delle massime più provocatorie come "è meglio essere temuti che amati". Con queste affermazioni sembrava volesse entrare nel cervello dei suoi lettori: irritarli, confonderli, farli pensare e pensare ancora agli esempi che proponeva. [...] E più lo leggiamo e più evidente risulta che Machiavelli si divertiva a usare i suoi scritti per assumere diverse maschere e giocare ruoli diversi. [...] Ma l'uomo dietro le diverse maschere non era un camaleonte che si adattasse a ogni situazione, pronto a ogni richiesta del signore in quel momento al potere. Come ben sapevano i sui amici più vicini, e come cercherò di documentare in questo libro, non era per nulla disponibile a compromettere i suoi valori».
(Erica Benner, Esser volpe, Bompiani, 2017, pp. 20-21). 
La Benner presenta la vita di Machiavelli-volpe tracciando un profilo di uomo, al contrario, estremamente coerente nella sua fede repubblicana e moralmente forte, che lottando contro infinite difficoltà ha forse, come lettori antichi avevano ipotizzato, tentato l'estrema carta della finzione volpina, suggerendo ai principi consigli folli e aspettando che l'odio popolare li travolgesse. Non voglio con questo suggerire che l'interpretazione proposta dalla Benner sia quella migliore, non ne ho neppure le competenze. Tuttavia è sempre suggestivo guardare a un testo e osservarne la potenza. Ancora, insomma, questo libro ha domande da porre a noi e noi a lui, proprio come faceva Machiavelli con i suoi amati classici. 

Vi rinvio per concludere a sei minuti e mezzo di commento al Principe del già citato Gennaro Sasso, che riepiloga i pilastri dell'interpretazione più accreditata di Machiavelli alla quale, sostanzialmente, ci siamo rifatti in classe, e al bellissimo saggio di Romano Luperini, critico letterario insigne, sullo "scandalo" del Principe. 

Gli scandali, in fondo, sono quelli delle opere che contano, e soprattutto di quelle restano. 

sabato 1 dicembre 2018

Anche noi come Lucia


Cos’è Me too?
Intanto, ecco il suo sito in inglese e, più banalmente, la breve voce in italiano su wikipedia.

Il movimento ha vinto nel 2017 l’importante premio giornalistico di “Persona dell’anno” sul TIME, rivista americana che ogni anno, a dicembre, attribuisce la sua più famosa copertina a colui o colei che ha “segnato” un anno di notizie:



Tuttavia, se pensiamo che la cosa riguardi solo le celebrità e il mondo dello spettacolo (o del lavoro), bisogna ricrederci e pensare alle piccole situazioni quotidiane che - ne abbiamo parlato in classe, partendo dal terzo capitolo dei Promessi Sposi - ci riguardano tutte. Racconta un fatto del genere l’articolo di Jennifer Guerra sulle frequentissime molestie nei mezzi pubblici.


Ilona Granet, Emily Post street signs, 1989

C’è modo e modo di reagire e non reagire alle piccole (?) molestie in strada. Qualcuna (si chiama Naomi Larsson, e vive nel Regno Unito) lo fa seriamente...
Non si tratta però di un fenomeno isolato: su Hollaback Italia, versione italiana del sito legato al gruppo di attiviste e attivisti contro le molestie, che pubblica racconti di storie banali e non, quotidiane e non, c’è una pagina che elenca una serie di risposte e atteggiamenti che bisognerebbe attuare (con un buona dose di coraggio…) contro le molestie, in particolare quelle in strada e sui mezzi pubblici... L’avesse letto Lucia (non leggeremmo in classe i Promessi Sposi, direte voi)!

Per farci un’idea globale e più scientifica sul fenomeno, rinvio però al documento ufficiale dell’ISTAT (l’Istituto nazionale di statistica) che analizza i dati rilevati tra il 2015 e il 2016 in un ampio e rilevante campione di donne e uomini (ovvero - attenzione - il fenomeno riguarda anche i ragazzi, in particolare i ragazzini) tra i 14 e i 65 anni.