venerdì 28 settembre 2018

Storico, e seicentesco...


Un paio di citazioni sulla scelta del romanzo storico e del Seicento: 
«Per indicarvi brevemente la mia idea principale sui romanzi storici e mettervi così sulla via per rettificarla, Vi dirò che li concepisco come la rappresentazione di uno stato determinato della società per mezzo di fatti e di caratteri così simili alla realtà che li si possa ritenere una storia veritiera appena scoperta. Quando vi si mescolano avvenimenti e personaggi storici, credo che bisogni rappresentarli nella maniera più strettamente storica; così, ad es., Riccardo Cuor-di-Leone mi sembra difettoso nell’Ivanhoe». (Lettera a Claude Fauriel, 3 novembre 1821)
«Le memorie che ci restano di tale epoca presentano e ci fanno supporre una situazione sociale veramente straordinaria: il governo più arbitrario combinato con l'anarchia feudale e l'anarchia popolare; una legislazione stupefacente per ciò che prescrive e per ciò che lascia intendere, o che descrive; una ignoranza profonda, feroce, e presuntuosa; classi sociali aventi interessi e norme opposte; alcuni eventi poco noti, ma affidati a scritti degnissimi di fede, e che testimoniano il grande sviluppo di tutto ciò; infine una peste, che ha dato occasione alla scelleratezza più consumata e sfrontata, ai pregiudizi più assurdi e alle virtù più commoventi».
(Lettera a Claude Fauriel, 29 maggio 1822)

L'Italia dopo il trattato di Cateau-Cambrésis (1552)

Per ascoltare gratuitamente l'audiolibro dei Promessi Sposi, letto benissimo da tre attori eccezionali, vi consiglio le puntate di Ad alta voce di Rai Radio 3. Bisogna fare, se non l'avete, la registrazione a RaiPlayRadio...

venerdì 21 settembre 2018

I Promessi Sposi, per cominciare


Il romanzo di Alessandro Manzoni intitolato I Promessi Sposi è stato scritto con difficoltà e grandi ripensamenti. 

La prima stesura, che lo scrittore milanese allora trentaseienne inizia a stendere a mano (e come, se no?), risale agli anni tra il 1821 e il 1823. Non ha e non avrà mai un vero titolo, visto che Manzoni non l'ha mai voluta pubblicare, ma per convenzione* viene citata indicando il nome dei suoi protagonisti, gli sposi Fermo e Lucia. La trama c'è già praticamente tutta, ma è un romanzo più "carico": ad esempio i cattivi sono molto cattivi e alcune vicende più dettagliatamente macabre, perchè così erano scritti molti romanzi che andavano per la maggiore all'estero, che Manzoni conosceva bene.

Manzoni tuttavia non è soddisfatto, e ben presto lo riscrive interamente: la seconda stesura, questa sì pubblicata in tre volumi nel 1827, è quindi alleggerita di molto in alcune parti e uniformata nella lingua: da un lato, cioè, Manzoni taglia le parti più scabrose e "modaiole" e un lungo inserto storiografico* sulla peste del Seicento a Milano, dall'altro, ne uniforma la lingua eliminando le voci dialettali, certo forse più realistiche, ma poco comprensibili fuori dalla Lombardia. In particolare, sceglie di usare una lingua simile a quella dei libri classici, su un modello toscano "letterario" e non utilizzato nel parlato da secoli, per non dire forse mai. Per questa prima edizione Manzoni sceglie un vero titolo: I Promessi Sposi.
E' un grande successo: le prime duemila copie vanno a ruba (è un modo di dire: vengono vendute a un prezzo variabile, 12 lire su carta economica, 20 su carta di pregio, e se le comprano soprattutto i borghesi più benestanti); a dicembre del 1827 il romanzo viene ristampato ben otto volte e da otto editori diversi, anche se non sempre - e su questo torneremo tra un po' - Manzoni ci guadagna dei soldi.

Ma il nostro autore, con tutti i suoi tormenti e le sue insicurezze psicologiche, non è ancora soddisfatto.
In particolare, e nonostante il buon successo editoriale, capisce che la lingua è il suo punto debole. Come accade in Francia e in tutta Europa, perchè non svecchiare il modo di scrivere (e leggere!) degli italiani, e passare a una lingua viva, parlata davvero, più ricca di umanità e sfumature moderne?
Allora riprende in mano i tre volumi già pubblicati e comincia a riscriverli per intero usando la lingua parlata dalla gente a Firenze - città colta, con grande tradizione anche letteraria. Per lui è come una lingua straniera, o quasi. Ha bisogno di impratichirsi parlandola e ascoltandola parlare, e a Firenze si trasferisce per qualche mese, come faremmo noi per perfezionare una lingua straniera o un altro dialetto.

La terza stesura e seconda edizione del romanzo viene perciò pubblicata nel 1940. I critici la chiamano "quarantana" (mentre quella del '27 "ventisettana"). Anche questa edizione è un grande successo editoriale, che però soffre ancora più della prima di un problema terribile per gli artisti: escono infatti moltissime copie pirata, perchè in Italia, in questo periodo, la legge sul diritto d'autore  tutela poco gli scrittori: basta stampare il libro in una tipografia di un altro Stato della penisola e il gioco è fatto. Manzoni si dispera a vuoto, idea alcune strategie editoriali che spiazzino gli editori  (ad esempio il romanzo non esce tutto in una volta ma a singoli fascicoli periodici) ma perde comunque moltissimo denaro. Non che avesse problemi economici, ma la rabbia lo divora.

Trasformazioni linguistiche a parte (aspetto ovviamente fondamentale), il vero colpo di genio di un Manzoni davvero "moderno" è quello di far uscire il libro con un'impaginazione accattivante, curata e alla portata di un pubblico più vasto e curioso, che magari aveva già in casa la ventisettana, ma non può lasciarsi sfuggire questa novità strepitosa: Manzoni chiede infatti la collaborazione di un bravissimo illustratore torinese, Francesco Gonin, e insieme costruiscono un libro mai visto prima (del resto, senza film in costume...). Ogni parte del romanzo è accompagnata da un disegno che fa vedere - letteralmente - ai lettori ciò che forse non avevano mai visto: i personaggi, le case, i paesaggi, i vestiti del Seicento. Ogni pagina è pensata dal punto di vista grafico, perchè sia leggibile, bella a vedersi, chiara e ben proporzionata nelle sue parti. Insomma un libro nuovo, in tutti i sensi.


Un dettaglio non da poco, in apparente contrasto con quanto raccontato fin qui (sul quale torneremo bene in quinta), è la scelta di aggiungere al romanzo la Storia della colonna infame: si tratta del resoconto, basato rigorosamente su documenti storici, di un episodio accaduto a Milano durante la peste del Seicento, ovvero il drammatico processo a due persone innocenti, accusate di essere "contagiatori" di professione o, come dice Manzoni, "untori" e giustiziati nel 1630. E', un po' rielaborata, la digressione* che Manzoni aveva eliminato nella ventisettana, che stavolta sceglie di pubblicare in appendice* al romanzo, per darle evidenza senza appesantire la narrazione (ai suoi lettori, come è evidente, ci pensava!). 

Per ora, è tutto (e non è poco...)!

* L'asterisco indica alcune parole difficili forse da cercare nel vocabolario e imparare... insomma da capire bene.