venerdì 9 ottobre 2015

Nabucco (donosor)

Domenica 11 ottobre andiamo al Teatro comunale di Cagliari per l’ultima recita del Nabucco, opera giovanile di Giuseppe Verdi, andata in scena per la prima volta nel 1842 alla Scala di Milano.

Prima edizione del Nabucco: Verdi era praticamente sconosciuto al pubblico, e anzi reduce da un mezzo fiasco. Il suo nome dunque non compare nella locandina, in cui viene citato solo Temistocle Solera, autore del libretto. 


La trama come sempre è piuttosto arzigogolata, tesa a condensare in poco più di due ore un elevato numero di avvenimenti: maledizioni, profezie, agnizioni, condanne a morte e salvezze, desideri di potere, prigionie nostalgie e gelosie folli. E se La Traviata (che è del 1853) metteva in scena un tempo e uno spazio ben familiari al pubblico ottocentesco, e poco distanti da noi, il Nabucco è ambientato nella Babilonia più remota, al tempo del re – appunto – Nabucodonosor (e questo in effetti era l’originario nome dell’opera, poi abbreviato perché il pubblico ormai “Nabucco” più agilmente la chiamava) e della sua guerra con il popolo ebreo.

Non vi racconto il plot per intero, potete agevolmente leggerlo qui.

L'immediata popolarità dell’opera, così lontana dal contesto ottocentesco, è dovuta alla grande attualità romantica dei conflitti trattati. Se già la passione di Abigaille e l’afflato religioso che coinvolge lo stesso Nabucco, convertitosi infine al monoteismo di Jehova, sono affini al sentire romantico, l’opera fu percepita come modernissima, nella prima metà dell’Ottocento, soprattutto perché racconta una storia di patria lontana, di schiavitù etnica e di nostalgia per una Nazione perduta, anzi mai esistita davvero. 
Il tema del potere – di vita e di morte, di legge e di forza, di golpe e di lione, per dirla con Machiavelli – è infatti centrale, e rende memorabile la presenza del coro che impersona, al di là di ogni individualismo romantico, un intero popolo schiacciato e dominato ingiustamente, come – nell’idea verdiana – quello italiano di metà Ottocento. Usando le parole di un noto critico musicale, Massimo Mila, «il contrasto fondamentale dell'azione non è tanto di passioni e d'individui, quanto di popoli e di fedi. Due popoli sono in lotta, l'oppressore e il vinto, gli Assiri e gli Ebrei, e attraverso le masse corali parlano un linguaggio pieno di dignità, quale raramente si ritroverà ancora nei cori verdiani». E’ infatti il Va pensiero il momento apicale e più struggente dell’opera, non l’aria di questo o di quel personaggio, come accadeva nella Traviata, in cui Violetta domina la scena. 
Tra le molte presenti su You tube, vi consiglio questa bella esecuzione diretta da Riccardo Muti, eseguita dal vivo al Teatro dell'Opera di Roma, nel 2011. 


L’allestimento che vedremo è stato rappresentato al Teatro Lirico di Cagliari nel 2012, e riproposto oggi visto il grande successo di allora.
Se allora, come ci racconta Maria Paola Masala – brava critica dell’Unione Sarda – i protagonisti presero posizione esplicita contro i licenziamenti dell’Alcoa battendo gli elmetti sulle tavole del palco, oggi l’opera può parlarci ancora dei più deboli, senza lavoro, senza patria e senza identità, esuli forzati, sottomessi a un potere dispotico e violento, e ancora, speriamo, emozionarci. 

Qui il musicologo Raffaele Mellace presenta l’opera al pubblico cagliaritano.

Qui l’intervista (del 2012) alla Abigaille di questo allestimento, Dimitra Theodossiou. 

Qui un assaggio dell’allestimento, per la regia di Leo Muscato. 

Qui, infine, trovate il libretto di sala del Teatro La Fenice di Venezia, con moltissimi spunti e saggi d’approfondimento. 

Ci vediamo domenica!


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