Domenica 11 ottobre andiamo al Teatro comunale di Cagliari
per l’ultima recita del Nabucco,
opera giovanile di Giuseppe Verdi, andata in scena per la prima volta nel 1842
alla Scala di Milano.
La trama come sempre è piuttosto arzigogolata, tesa a
condensare in poco più di due ore un elevato numero di avvenimenti: maledizioni,
profezie, agnizioni, condanne a morte e salvezze, desideri di potere, prigionie
nostalgie e gelosie folli. E se La Traviata (che è del 1853) metteva in scena un
tempo e uno spazio ben familiari al pubblico ottocentesco, e poco distanti da
noi, il Nabucco è ambientato nella
Babilonia più remota, al tempo del re – appunto – Nabucodonosor (e questo in
effetti era l’originario nome dell’opera, poi abbreviato perché il pubblico
ormai “Nabucco” più agilmente la chiamava) e della sua guerra con il popolo
ebreo.
Non vi racconto il plot per intero, potete agevolmente
leggerlo qui.
L'immediata popolarità dell’opera, così lontana
dal contesto ottocentesco, è dovuta alla grande attualità romantica dei
conflitti trattati. Se già la passione di Abigaille e l’afflato
religioso che coinvolge lo stesso Nabucco, convertitosi infine al monoteismo di
Jehova, sono affini al sentire romantico, l’opera fu percepita come
modernissima, nella prima metà dell’Ottocento, soprattutto perché racconta una
storia di patria lontana, di schiavitù etnica e di nostalgia per una Nazione perduta, anzi mai esistita davvero.
Il tema del
potere – di vita e di morte, di legge e di forza, di golpe e di lione, per
dirla con Machiavelli – è infatti centrale, e rende memorabile la presenza del
coro che impersona, al di là di ogni individualismo romantico, un intero popolo
schiacciato e dominato ingiustamente, come – nell’idea verdiana – quello italiano
di metà Ottocento. Usando le parole di un noto critico musicale, Massimo Mila, «il contrasto fondamentale dell'azione non è tanto di passioni e d'individui, quanto di popoli e di fedi. Due popoli sono in lotta, l'oppressore e il vinto, gli Assiri e gli Ebrei, e attraverso le masse corali parlano un linguaggio pieno di dignità, quale raramente si ritroverà ancora nei cori verdiani». E’ infatti il Va pensiero il momento apicale e più struggente dell’opera, non l’aria di
questo o di quel personaggio, come accadeva nella Traviata, in cui Violetta
domina la scena.
Tra le molte presenti su You tube, vi consiglio questa bella esecuzione diretta da Riccardo Muti, eseguita dal vivo al Teatro dell'Opera di Roma, nel 2011.
L’allestimento che vedremo è stato rappresentato al Teatro
Lirico di Cagliari nel 2012, e riproposto oggi visto il grande successo di
allora.
Se allora, come ci racconta Maria Paola Masala – brava critica
dell’Unione Sarda – i protagonisti presero posizione esplicita contro i
licenziamenti dell’Alcoa battendo gli elmetti sulle tavole del
palco, oggi l’opera può parlarci ancora dei più deboli, senza lavoro, senza
patria e senza identità, esuli forzati, sottomessi a un potere dispotico e
violento, e ancora, speriamo, emozionarci.
Qui il musicologo Raffaele Mellace presenta l’opera al
pubblico cagliaritano.
Qui l’intervista (del 2012) alla Abigaille di questo
allestimento, Dimitra Theodossiou.
Qui un assaggio dell’allestimento, per la regia di Leo
Muscato.
Qui, infine, trovate il libretto di sala del Teatro La Fenice di
Venezia, con moltissimi spunti e saggi d’approfondimento.
Ci vediamo domenica!