Molti articoli su John Nash, ne posto uno del Post, ma a voi gli approfondimenti... http://www.ilpost.it/2015/05/25/john-nash/
Obbligatorio anche cercare di capire la teoria dei giochi!
lunedì 25 maggio 2015
mercoledì 6 maggio 2015
Dante e Lucifero (Inferno, XXXIV)
Gustave Doré, Inferno, XXXIV, 1861 |
Da Jeffrey B. Russell, Il diavolo nel medioevo, Bari,
Laterza, 1982
La paura del diavolo e
del peccato è quella che ha più ossessionato gli uomini del Medioevo, a
giudicare dall’insistenza con cui questo tema si presenta nella letteratura e
nell’arte. Il diavolo, dal latino diabolus («calunniatore»), ha
un ruolo importante nel Nuovo Testamento, dove rappresenta il principio del
male. Associato al mondo materiale, il regno di Satana è in continua lotta con
il regno di Dio, sino alla fine del mondo, quando sarà definitivamente
sconfitto. La missione salvifica di Cristo si giustifica proprio nei termini di
una contrapposizione al potere di Satana, che si configura come l’Anticristo.
Sarà questa poi la base della demonizzazione degli ebrei, degli eretici, degli
infedeli. Nell’Apocalisse troviamo anche i primi caratteri della raffigurazione
diabolica: il diavolo è un mostro, con sette teste e dieci corna.
Miniatura
dal ‘Liber Figurarum’ tav. 14. Il Drago
dell’Apocalisse
|
L’immagine
poi si semplifica, ma resta l’attributo delle corna, insegna del potere o anche
allusione agli animali cornuti pagani, simbolo della fertilità. La bestia è
nera, come le tenebre degli abissi, o rossa, come il fuoco o il sangue. Mancano
ancora le ali, segno del dominio dell’aria. È difficile tracciare uno sviluppo
dell’iconografia del diavolo, perché in essa confluiscono tradizioni diverse e
contrastanti: quella ascetico-monastica, quella folklorica, quella filosofica e
quella didattico-religiosa.
Illustrazione
dal ‘Codex Gigas’, fol. 270 recto. Il
Diavolo. Inizi del XIII secolo
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Il diavolo assume aspetti molteplici, conformemente alla sua capacità di
trasformarsi, di mascherarsi, di usare tutti gli strumenti dell’inganno per
perseguire i suoi fini di perdizione. Egli mostra essenzialmente due volti,
quello del tentatore e quello del torturatore infernale. Nel primo caso prende
la forma di serpente o sembianze umane, soprattutto femminili, ma anche di uomo
pio e colto, di viandante, di contadino, ecc. In questa veste stipula patti con
i peccatori: il motivo del patto con il diavolo, alla base del moderno personaggio di Faust, circola ampiamente nel Medioevo e influenzerà
direttamente la caccia alle streghe. Nel secondo caso il diavolo assume
l’aspetto terrificante documentato nei testi di Bonvesin de la Riva, di
Giacomino da Verona, di Dante, nei capitelli e negli affreschi delle chiese (si
vedano le impressionanti rappresentazioni dell’Inferno – XIII e XIV secolo –
nel Battistero di Firenze e nel Cimitero monumentale di Pisa).
Coppo
di Marcovaldo, particolare del
Giudizio universale, 1260-1270. Firenze, Battistero di S. Giovanni
|
Prima del Mille tuttavia il diavolo, per lo più un uomo o un diavolicchio,
specie di folletto o di spirito maligno, non è un essere spregevole. Solo dopo
l’XI secolo diventa un essere mostruoso, un ibrido tra l’uomo e la bestia,
fornito di corna, di coda e di ali: il suo aspetto assumerà, dopo la crisi e la
peste del Trecento, caratteri sempre più grotteschi, come dimostra la pittura
di J. Bosch e di P. Bruegel.
È un testo dell’XII secolo, La visione diTundale,
con l’immagine mostruosa del diavolo, che divora le anime e le espelle sul
ghiaccio, a influenzare le successive rappresentazioni letterarie e artistiche
di Lucifero. Anche quando nei secoli XII, XIII e XIV la letteratura laica in
volgare (dai poemi epici alle novelle di Boccaccio e Chaucer) relega il diavolo
a un ruolo marginale o a pura metafora dei vizi umani, il demonio non allenta
la sua presa sull’immaginario della gente. A ciò contribuiscono la letteratura
religiosa e l’arte figurativa, dove la figura di Lucifero trionfa nelle visioni
infernali dell’oltretomba.
Proiezione delle
angosce legate al senso di colpa e alla paura del peccato e della morte, il
diavolo, aspetto rimosso e perturbante della società mercantile, appare ora
soprattutto come torturatore. Ce lo mostrano all’opera Giacomino da Verona e
Bonvesin de la Riva, con gli attributi tradizionali di un’iconografia rivolta a
suscitare terrore per distogliere dal peccato. I diavoli sono esseri deformi e
terribili, neri, cornuti e puzzolenti, lanciano fiamme dagli occhi, soffiano
fuoco dalla bocca, dalle narici e dalle orecchie, hanno zampe d’orso, orecchie
di porci, artigli, coda di serpente.
Giotto,
Giudizio Universale, 1306 ca. Padova, Cappella degli Scrovegni
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Creatura mostruosa, segno di sregolatezza e di bestialità, del sovvertimento
delle leggi di natura, il diavolo è un essere vorace che abbranca, ingoia e
talora riespelle le vittime. Questa immagine è evocata dal lupo mangiatore di
uomini del folklore e della fiaba europea (dal lupo di Gubbio dei Fioretti di S. Francesco a Cappuccetto rosso), dal mito del
licantropo, del vampiro, agli uomini-tigre della tradizione asiatica: è
un’immagine forte che impressiona tenacemente l’immaginario medievale e
influenza anche la Commedia di Dante.
Il Lucifero dantesco,
confitto nell’Inferno, con le sue tre bocche maciulla tre celebri traditori
(Giuda, Bruto e Cassio), ma le sei pesanti ali di pipistrello, simbolo di
tenebre e di cecità, flagellano invano l’aria gelata, impotenti a volare.
Questo Lucifero è più ripugnante che terrificante. In linea con la tradizione
scolastica, che nega un’esistenza autonoma al male – giacché il male dipende in
ultima analisi dal bene, essendo Dio creatore dell’intero universo – Satana è
pura materia, il suo corpo, irsuto e ferino, è un verme, un mostro, la
negazione della verità e dello spirito: perciò, simbolo del nulla, Lucifero
divora le sue prede umane piangendo lacrime di rabbia impotente.
Per concludere, dopo il saggio dello storico americano Jeffrey B. Russell, quattro bellissime illustrazioni moderne (tra 1800 e primi del '900) della Commedia.
Scaramuzza, nel 1870, illustrò l'intera opera dantesca ma fu schiacciato dalla fama di Gustave Dorè, e le sue splendide tavole sono oggi decisamente sconosciute, ma appunto restano splendide.
Giorgio
Kiernerk, Lucifero, Alinari, 1902-1903
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Alberto
Zardo,
Apparizione di Lucifero, Alinari, 1902-1903
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L'ultima, quella del genovese Amos Nattini, recupera il colore e restituisce in modo straordinario l'effetto livido e drammatico del Cocito dantesco, la «gran meraviglia» (v. 37) di Dante e senz'altro di noi lettori.
Amos
Nattini, Inferno, XXXIV, 1915-39
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