venerdì 24 marzo 2017

del "Postmoderno" in letteratura, un giorno dopo

Difficile parlare in classe, così al volo, di "postmoderno".
Difficile soprattutto spiegare concretamente di cosa sono fatti questi libri dei quali resta, a distanza, una idea complessa e arzigogolata e ben poca trama.

Vi presento una essenziale (son 4 libri!) bibliografia - quasi tutta americana - sui romanzi postmoderni, o almeno cosiddetti "postmoderni", alla quale altri, molti altri libri potrebbero aggiungersi.
Uno peraltro l'avete anche letto, ed infatti vi ha preso esattamente così, alla sprovvista e senza grande possibilità di "riassunto", ed è questo.

In ordine cronologico, il bellissimo romanzo di John Barth, L'opera galleggiante (1956), la cui trama - se così si può dire - viene così presentata dall'editore italiano:

La mattina del 21 giugno 1937 Todd Andrews (un’avviatissima carriera di avvocato, una sobria vita borghese in una cittadina di mare del New England, un improbabile menage a trois con l’amico Harrison, erede di un impero dei sottaceti, e la graziosissima moglie di lui) si sveglia, si alza dal letto e guardandosi allo specchio scopre che la risposta a ogni suo problema è il suicidio. Vent’anni dopo, ancora vivo, racconta al lettore gli sviluppi di quella fatale giornata. Pubblicato originariamente nel 1956 e rivisto dallo stesso autore nel 1967, L’Opera galleggiante è considerato da molti il capolavoro di John Barth: spirito nichilista e humour nero, critica di costume e spunti metanarrativi si fondono in un romanzo sperimentale e godibilissimo che inaugurava la narrativa postmoderna e a quasi mezzo secolo di distanza nulla ha perso del suo smalto.


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A seguire, lo strepitoso e divertentissimo (a partire dal titolo) La vita: istruzioni per l'uso di Gerges Perec. Siamo stavolta in Francia, e l'autore è questo signore qui:



Il libro ruota intorno a un condominio parigino (con tanto di mappa!) e gioca a scacchi col lettore. Riporto da Wikipedia: 
«Immagino uno stabile parigino cui sia stata tolta la facciata... in modo che, dal pianterreno alle soffitte, tutte le stanze che si trovano sulla parte anteriore dell'edificio siano immediatamente e simultaneamente visibili». 
Il racconto procede, tra le stanze del caseggiato, seguendo lo schema ad "L" del movimento del cavallo nel gioco degliscacchi e tocca così tutte le stanze, tranne una: i capitoli del libro sono infatti novantanove, non cento.
In ottemperanza agli obiettivi dell'OuLiPo Perec crea nel libro - tra le altre cose - un complesso sistema (al quale si riferisce come "macchina per ispirare racconti") che genera, a partire da ciascun capitolo, una lista di elementi - oggetti o riferimenti - che il capitolo dovrebbe poi contenere o ai quali dovrebbe alludere. Nel libro compaiono 42 liste di 10 oggetti ciascuna, riunite in 10 gruppi di 4 elementi e due gruppi contenenti liste di "coppie"...



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Tornando negli USA, l'infinito Infinite Jest di quel genio assoluto, morto suicida nel 2008, di David Foster Wallace, di cui esistono altre cose molto più accessibili, ad esempio questa, reportage stradivertente sulla vita in crociera.
Infinite Jest è così ipertrofico e pazzoide da necessitare, per alcuni lettori molto resistenti, di una mappa e molte targhette di appunti... Altri (io, per esempio), semplicemente non lo finiscono.



Il romanzo prende il nome, almeno in parte, da un verso dell'Amleto, e fa riferimento a Yorick, il buffone di corte: "Ahimè, povero Yorick! L'ho conosciuto, Orazio: un compagno di scherzi infiniti (infinite jest, in lingua originale)". A tale citazione si fa allusione molte volte, dato che la compagnia cinematografica di James Incandenza si chiama "Poor Yorick Productions".


A partire da questa prima citazione occulta (certamente per lettori molto esperti), il romanzone si dipana in più di mille pagine, e i suoi temi sono così disparati da essere assurdamente accostabili: il tennis, vera fissa di DFW (autore anche di un bellissimo librosu Roger Federer) come metafora dell'agonismo nella società americana e delle "infinite soluzioni in uno spazio finito"; la dipendenza dalle sostanze stupefacenti e i programmi di recupero, vero fulcro su cui ruota la maggior parte delle vicende del libro; gli abusi sui minori; la pubblicità e l'intrattenimento popolare, nelle loro forme parossistiche e alienanti; le teorie cinematografiche e il separatismo quebecchese. 

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Ultimo in ordine di comparsa (ma da me nominato subito in classe perchè assolutamente imperdibile), Underworld di Don DeLillo, uscito nel 1997 nel quale - riassumendo e interpretando - un campo da baseball si trasforma in un labirinto. 


La vicenda inizia il 3 ottobre 1951, quando un ragazzino di colore riesce ad entrare di soppiatto nello stadio (il Polo Grounds di New York) in cui si sta giocando la storica partita di baseball tra i New York Giants e i Brooklyn Dodgers. Nel nono inning della partita, il famoso battitore Bobby Thomson  effettua un memorabile fuoricampo, dando la vittoria ai Giants (5-4 il punteggio), che conquistano così il campionato. Nella realtà non si sa che fine abbia fatto la pallina colpita da Thomson, ma nel romanzo il ragazzino riesce a impadronirsi di questo cimelio, che gli verrà però sottratto dal padre, il quale venderà la palla per 32 dollari e 45 cents.
La palla da baseball inizia così a passare di mano in mano, e viene usata come un filo rosso per la costruzione di un gigantesco affresco dell'America dall'inizio della Guerra Fredda fino agli anni Novanta.