venerdì 30 gennaio 2015

Moi, je ne suis pas Charlie...

La notizia (vera) è questa: a Nizza un bambino francese di otto anni, di otto anni, è stato portato in questura e interrogato dai gendarmi perchè a scuola si è rifiutato di sottoscrivere l'ormai stranota frase "Je suis Charlie".
L'analisi che oggi si trovava nel quotidiano «La Stampa» è davvero acuta, intelligente, ben strutturata. Un articolo profondo a partire da un piccolo (?) fatto di cronaca.

mercoledì 28 gennaio 2015

Sulle immagini e l'esercizio della (giornata della) memoria

Il (molto) perturbante speciale di Rai Storia sui campi di sterminio, a partire dalle riprese originali di un cineamatore sovietico entrato ad Auschwitz il 27 gennaio 1945...

...E le riflessioni di Susan Sontag di cui ho parlato in classe:

da Davanti al dolore degli altri (2003)



Ma l'immagine fotografica, anche nella misura in cui è una traccia, non è mai solo il trasparente ricordo di un evento. E' sempre un'immagine che qualcuno ha scelto: fotografare significa inquadrare, e inquadrare significa escludere. (p. 40)

Anche nell'era dei modelli cibernetici, la mente continua ad apparirci, come gli antichi la immaginavano, uno spazio interiore - simile a un teatro - in cui visualizziamo delle immagini che ci consentono di ricordare. Il problema non sta nel fatto che ricordiamo grazie alle fotografie, ma che ricordiamo solo quelle. Il ricordo attraverso le fotografie eclissa altre forme di comprensione, e di ricordo. [...] Le foto strazianti non perdono necessariamente la loro forza e il loro impatto. Ma non sono di grande aiuto, se il nostro compito è quello di capire. (pp. 77-78)

Possiamo anche sentirci obbligati a guardare fotografie che documentano grandi crimini e crudeltà. Ma dovremmo sentirci altrettanto obbligati a riflettere su quel che significa guardarle, sulla capacità di assimilare realmente ciò che esse mostrano. Non tutte le reazioni suscitate da tali immagini sono controllate dalla ragione e dalla coscienza. La maggior parte delle rappresentazioni di corpi martoriati e mutilati suscitano in effetti un interesse pruriginoso [...] Qualunque immagine mostri la violazione di un corpo attraente [di un giovane, di un bambino: attraente in senso lato] è, in una certa misura, pornografica. Anche le immagini ripugnanti possono affascinare. Tutti sanno che a rallentare il traffico davanti a un terribile incidente automobilistico non è soltanto la curiosità. in molti casi si tratta anche del desiderio di vedere qualcosa di raccapricciante. (p. 83)

La compassione è un'emozione instabile. Ha bisogno di essere tradotta in azione, altrimenti inaridisce. La questione è che cosa fare delle emozioni così [cioè attraverso le immagini] suscitate, delle informazioni così trasmesse. Se pensiamo che «noi» non possiamo fare niente - ma chi sono poi questi «noi» [...] allora cominciamo ad annoiarci, a diventare cinici, apatici.
Non è detto che lasciarsi commuovere sia meglio. Il sentimentalismo, come è tristemente noto, è del tutto compatibile con la propensione alla brutalità o ad atti ben peggiori. (Pensate al classico esempio del comandante di Auschwitz che la sera rientra a casa, abbraccia moglie e figli e si siede al pianoforte per suonare un po' di Schubert prima di cena.) La gente non si assuefà a quel che le viene mostrato - se così si può descrivere ciò che accade - a causa della quantità di immagini da cui è sommersa. È la passività che ottunde i sentimenti. Le condizioni a cui diamo il nome di apatia, o di anestesia morale e emotiva, in realtà traboccano di sentimenti: ciò che si prova è rabbia e frustrazione. Ma se dovessimo stabilire quali emozioni siano auspicabili, sarebbe forse troppo semplice optare per la compassione. L'immaginaria partecipazione alle sofferenze degli altri promessaci dalle immagini suggerisce l'esistenza tra chi soffre in luoghi lontani - in primo piano sui nostri schermi televisivi - e gli spettatori privilegiati di un legame che non è affatto autentico, ma è un'ulteriore mistificazione del nostro rapporto con il potere. Fino a quando proviamo compassione, ci sembra di non essere complici di ciò che ha causato la sofferenza. La compassione ci proclama innocenti, oltre che impotenti. E può quindi essere (a dispetto delle nostre migliori intenzioni) una reazione sconveniente, se non del tutto inopportuna. Sarebbe meglio mettere da parte la compassione che accordiamo alle vittime della guerra e di politiche criminali per riflettere su come i nostri privilegi si collocano sulla carta geografica delle loro sofferenze e possono - in modi che preferiremmo non immaginare - essere connessi a tali sofferenze, dal momento che la ricchezza di alcuni può implicare l'indigenza di altri. Ma per un compito del genere le immagini dolorose e commoventi possono solo fornire una scintilla iniziale (pp. 88-89)

Nel primo dei sei saggi contenuti in Sulla fotografia (1977), sostenevo che un evento conosciuto attraverso le fotografie diventa certamente più reale di quanto lo sarebbe stato se non le avessimo mai viste, ma finisce per diventare meno reale quando si è ripetutamente esposti a quelle immagini. [...] Un'immagine è privata della sua forza dal modo in cui viene utilizzata, dal luogo in cui viene vista e dalla frequenza con cui appare. (p. 92)




sabato 24 gennaio 2015

giovedì 8 gennaio 2015

Sommes nous Charlie?


(Vignetta recentissima di Charb, direttore di Charlie Hebdo, assassinato ieri nel suo posto di lavoro; «Ancora nessun attentato in Francia - Aspettate, abbiamo tutto gennaio per faci gli auguri!» 

E' difficile selezionare un numero ristretto di articoli; vi rinvio naturalmente ai siti web dei principali quotidiani italiani (http://www.repubblica.it/, http://www.corriere.it/ almeno, cui aggiungerei senz'altro http://www.internazionale.it/).

Qui e lì, ho scelto alcuni pezzi utili, che vi consiglio per ragioni diverse.


Due punti di vista laterali:
http://www.minimaetmoralia.it/wp/ridicoli/

Decisamente filofrancese:
http://www.internazionale.it/opinione/bernard-guetta/2015/01/08/l-11-settembre-della-francia
Cos'è Charlie Hebdo:
http://www.ilpost.it/2015/01/07/charlie-hebdo/
L'analisi di un giornalista sardo:
http://www.vitobiolchini.it/2015/01/08/non-crocifissi-ma-penne-e-matite-perche-non-e-una-guerra-di-religione-come-edward-w-said-ha-dimostrato/